“Thomas in Love”(2000): un film originale, sul tema dell’agorafobia e non solo …

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“Thomas in Love “(Thomas est amoureux) è un film del 2000 diretto da Pierre Paul Renders.

IN SINTESI

La trama descrive la vita di un uomo chiamato Thomas, che è obbligato a vivere completamente isolato dal mondo esterno a causa della sua agorafobia. Nonostante la sua vita solitaria, Thomas è contento della sua esistenza. La sua unica connessione con il mondo esterno è attraverso Internet.

La trama si infittisce quando il suo psicanalista decide di iscriverlo a un sito di incontri online. Da quel momento, la vita di Thomas cambia drasticamente, poiché inizia a ricevere video-messaggi da donne in cerca d’amore.

L’opera  è nota per la sua prospettiva unica: tutto viene mostrato dal punto di vista di Thomas, il che significa che non vediamo mai il suo volto. Questa scelta artistica aggiunge un livello di immersione e mistero alla storia.

“Thomas in Love” ha ricevuto riconoscimenti significativi, tra cui il Premio FIPRESCI per il miglior primo film alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il Méliès d’Or per il miglior film fantastico europeo. Gli attori principali del film includono Benoît Verhaert, Aylin Yay e Magali Pinglaut.

LA MIA OPINIONE

Non leggete questo paragrafo se non avete visto il film: lo spoiler è garantito.

I film con la tecnica della visione soggettiva mi affascinano, da sempre, questo è il primo elemento che segnalo: fanno vivere in prima persona la storia del protagonista, permettono una immedesimazione istantanea, come se i suoi occhi fossero i propri, così come i suoi pensieri.

La storia è evidentemente distopica, con un post-modernismo posticcio e raffazzonato (il “videofono” per comunicare è una trovata che, ai giorni nostri, è già preistoria) ma, del resto bisogna collocare l’opera nel suo contesto storico e lasciarla li; ad ogni modo ha anticipato alcune tecnologie che adesso usiamo quotidianamente per comunicare: WhatsApp, Skype sono i primi esempi che mi vengono in mente.

Il film è girato volutamente in “low-fi”, per simulare una tecnologia ancora imperfetta e i personaggi sono tutti tatuati con simboli “pseudo-esoterici”, tranne Eva, la prostituta di cui il protagonista si innamora, che ne è priva. Mercenaria coatta, costretta al mestiere più antico del mondo per scontare una pena per un non ben precisato reato. Costringere “costituzionalmente” una donna a prostituirsi per pagare il fio di una colpa è – al di la di ogni commento politically correct – il segno di una società decadente, riprende lo stereotipo della donna-oggetto: è un’altra profezia che il film ci regala. Quante ragazze si vendono al giorno d’oggi su “Only fans” (e non solo) usando come merce di scambio show dal vivo privati, foto di piedi e parti intime? Tante, troppe  e non è questa  forse una forma di mercificazione del corpo? Del resto viviamo in una società in cui siamo tutti “oggetto” di scambio (BIG DATA docet) , e le stesse relazioni umani hanno amplificato il mite e proporzionale “do ut des” in qualcosa di parossistico, al limite delle sopportazione: tutto dipende dai rapporti di forza tra le parti, dove il più debole paga 10 volte il prezzo dovuto.

Il film anticipa inoltre il cybersex che non prevede, allo stato attuale, tute e guanti da indossare che inviano segnali elettrici o amenità del genere e che nel lungometraggio, oggetto di questo articolo, vengono ampiamente utilizzate: è una  pratica diffusissima tuttora, basata sul autoerotismo mutuale visivo, ma di cui nessuno parla, del resto perché dovrebbe? Sono fatti personali e finché, stanno nel recinto del consentito dalla legge, nessuna obiezione.

Ma il retro-pensiero che serpeggia durante tutto il film è che l’amore muove anche un agorafobico ad uscire dalla sua safe area e, così facendo, a (presumibilmente) morire.

Eros e Thànatos ancora una volta vanno a braccetto, sottolineando come il sentimento amoroso e la pulsione sessuale siano freudianamente alla base di ogni attività umana.

Per concludere, di fondamentale importanza è il tema dell’agorafobia,  disturbo psichiatrico altamente invalidante e francamente sottovalutato, sia dal sentire comune che dalla scienza.

Ipse dixit.

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