Fare i “frufru” con il deretano degl’altri: ecco come vanno considerati i “musicisti” (non classici, quello è un altro mondo a cui va un estremo rispetto) che coverizzano tutto in maniera magari filologicamente corretta, ma con una prassi esecutiva scadente, approssimativa… in altre parole, lassativa.
Mò basta, metteteci idee VOSTRE nella musica che fate, altrimenti siete brutte, orribili copie dell’originale, una specie di “corte dei miracoli”. E’ un pò come restare bambini e giocare ” a fare finta ” di essere John Lennon … Un conto è se vi pagano per farlo, davanti ad un pubblico di amebe che digeriscono anche la rumenta fermentata, altro conto è far passare come arte genuina, sofferta e intimamente elaborata, un vuoto cosmico di idee.
Ammiro chiunque, con i suoi limiti e le suoi pregi, proponga se stesso e non si travesta da musicista affermato, poiché tra Lennon e gli improvvisati, aspiranti sodomizzatori di Yoko Ono ci sarà sempre una distanza siderale.
E il Mario Rossi che tenta di diventare un cantautore, non fosse che per un’ora e steccando magari due accordi su tre, ha molto più valore, in my humble opinion.
Ci sarà una bella differenza tra il bambino che scrive una poesia di proprio pugno e l’ebetino che recita a memoria Leopardi, o no? Nella musica il paradigma è lo stesso.
La musica ha una funzione socializzante? Mi sta bene, ma deve essere contenuta nei limiti che questa funzione circoscrive. Se fai il jukebox 2.0 non ti voglio vedere in televisione a fare lo splendido; il tuo posto è il pub, o la ben più romantica spiaggia.
Bene, ora che ho vomitato anche la bile, ecco un esempio di cover che ha senso, avendo il valore aggiunto della reinterpretazione trasfigurante, con cadenza sospesa finale.
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