Klaus Doldinger 2013, clandestino (senza Passport)

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Per  una persona nata 4 anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, che ha suonato con Oscar Peterson nei mitici anni 50,  essere clamorosamente cosi misconosciuto, soprattutto in terra italica, è quasi un’offesa.

Invece Klaus Doldinger se ne strafotte,emana serenità e trasmette tanta passione per la sua musica e per lo strumento che suona.

Difficilmente mi viene da scrivere sui sassofonisti, essendo il sax uno strumento che non amo particolarmente (fra gli strumenti monodici forse l’unico che  “muove le corde  della mia anima” è il flauto, in quasi tutte le sue declinazioni), tuttavia il soffio di Mr. Doldinger produce melodie cantabili, e  questo  rende sopportabile alle mie orecchie l’ingombrante, sovente fracassone  suono dello strumento.

Questa “cantabilità” lo ha spesso relegato tra le seconde e terze file  dei sassofonisti di tutti i tempi, per i detrattori addirittura tra Fausto Papetti ed un improbabile  Wayne Shorter, quindi in un limbo artistico senza precedenti.

passort 2013Ai “Weather Report” pare si sia ispirato per creare -nei primi anni 70- quel progetto “jazz-fusion-wurstel& crauti” cosi atipico, conosciuto con il nome “Passport“.

Della formazione originaria nessuno è artisticamente sopravvissuto all’interno del gruppo.

Del resto Doldinger eredita, forse inconsciamente,  il vezzo tutto teutonico di godere di melodie ultra-semplicissime: si pensi, a sostegno della tesi e non per  affinità elettive, al tema della sigla della serie televisiva “L’ispettore Derrick“, ma posso trovare altre decine di esempi.

La musica (pop) contemporanea tedesca prende le distanze dai fasti elegiaci del passato, che ha visto trionfare  Johann Sebastian Bach, Ludwig van Beethoven, Franz Schubert, Johannes Brahms, Robert Schumann e Richard Wagner. 

Poi, probabilmente per una sana voglia di leggerezza e di disintossicazione da partiture iper sofisticate, ecco una schiera di musicisti, dal dopoguerra in poi, quasi tutti completamente e radicalmente “ariani inside“,  ottundersi con musica elettronica banale (vedasi i Tangerine Dream e i loro soporiferi album , i Kraftwerk etc. etc.) la cui  produzione potrebbe essere, al massimo, la colonna sonora di un prima e di un dopo “Oktoberfest“.

Eufemistici orgasmi con cadenze armoniche elementari calvalcate da melodie suonabili da un qualsiasi, inquietante, carillon, ecco cosa restituisce la musica tedesca di un certo periodo.

Ma ritorniano al nostro amabile quasi ottantenne che dosa la cantabilità con un puntuale , ellenico senso della misura, anche nell’espressione dell’ovvio.

Temi fischiettabili in real time, mai banali, assoli di buonissima fattura, effetti “pompati” cosi come richiede il genere musicale: questo è il riassunto, ridotto all’osso, della musica di Klaus Doldinger.

Posso dirla tutta? Al di là del sax “accettabile” di Doldinger, quello che mi piace è il progetto musicale nel suo complesso, originale e immaginifico. Basti pensare a certi album (nell’ambito del progetto “Passport”) dei seventies come “Garden of Eden“, un capolavoro per l’epoca.

A sostenere tutto questo, una band di onesti professionisti, fra i quali spicca il batterista Christian Lettner per incisività e drumming deciso e raffinato al tempo stesso.

Sicuramente al “Burghausen  Jazzfestival” non invitano pivellini.

Buon ascolto.

Il contenuto di questo articolo è stato redatto da qualche tempo, nel frattempo le circostanze possono essere cambiate.

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