Gli anni Settanta, fra amenità e capolavori fondamentali: “Seguendo le HIT PARADE italiane” (1977)

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Scegliere i brani più rappresentativi del 1977 -ovviamente sempre facendo riferimento alla Hit Parade italiana- è impresa ardua. Indubbiamente è un’annata buona, anche a livello mondiale. Fra tutti i lavori presentati in quella mesozoica era musicale, ricordo l’album progressive “Forse le lucciole non si amano più“, marchiato “Locanda delle fate“, ma di questo capolavoro ne parlerò dettagliatamente in un articolo dedicato. Ho inoltre l’obbligo della sintesi, essendo, per l’appunto, tanti i brani da segnalare.

Qualche mesosfera sotto, saldamente ancorati al terreno dell’emozionalità “prêt-à-porter”, le hit dei musicisti di “consumo”.

Parto da un Lucio Battisti in progressiva trasformazione: suoni ed arrangiamenti al passo coi tempi, nella sua….

AMARSI UN PO – LUCIO BATTISTI
Un basso ed una chitarra all’unisono, che si ostinano su un riff molto accattivante, quasi jazz-rock, che si incancrenisce in una sequenza di due accordi. L’accoppiata Mogol/Battisti funziona ancora, più che mai viva, ma già si intuiscono ansie estetiche più elevate, in questo Battisti d’annata, quelle che lo porteranno alla collaborazione con l’inarrivabile Pasquale Pannela, il paroliere italiano più raffinato che conosco.

SOLO TU – MATIA BAZAR
Un altro grande brano del gruppo genovese, con ampi spazi per la meravigliosa voce di Antonella Ruggiero. Una laconica intro di sintetizzatore, riccorrente, poi il brano si dipana, con incastri fra cori e voce solista che contrappuntano: un “pseudo assolo” a metà canzone sancisce il Prophet come la tastiera sintetica definitiva. Originale il fischiettato del tema, che allegerisce l’assolutismo dell’amore esclusivo.

L’ANGELO AZZURRO – UMBERTO BALSAMO
Mentre il sentire comune dell’Italia post brigate rosse si crogiolava in patetiche rimembranze sentimentali, Umberto Balsamo si fa paladino dell’orgoglio maschile, che arriva al rifiuto dell’abbraccio, azzurro e mortale, del femmineo. Componimento con continue modulazioni, un classico escamotage da arrangiatore navigato, per far rotolare una canzone basata su un modulo solo. Testo dignitoso, se non altro originale, per l’epoca.

LUGANO ADDIO – IVAN GRAZIANI
Il cantautore abruzzese, già scomparso anche lui ( e da molto tempo ) ci regala una canzone ambigua, nostalgica e con l’onnipresente macerazione affettiva legata all’amore adolescenziale, forse il più disinteressato, il più vero. Con quella voce acuta, poco educata ma intonata, Ivan Graziani è un fenomeno isolato e forse unico, uno fra i pochi artisti scandalosamente onesti, che fu in grado di ammettere che il suo barbiere suonasse la chitarra infinitamente meglio di lui. La canzone colpisce per la melodia cantilenante.

LA VALANGA MELODICA STRAPPALACRIME

TU MI RUBI L’ANIMA – COLLAGE
Con questo “lento”, il gruppo sardo arriva secondo al Festival di Sanremo, sfruttando gli stilemi classici della canzone d’amore adolescenziale dell’epoca, nonostante la narrazione di un’avventura extra-coniugale pericolosa per l’integrità “dell’anima” (intesa come manifestazione di sentimenti pregnanti), e della fatalità della figura femminile stereotipata.

Sullo stesso terreno scivoloso, si cimentano gli Homo Sapiens, con:

BELLA DA MORIRE – HOMO SAPIENS
Con questo brano gli Homo Sapiens toccano il vertice della loro carriera, vincendo il Festival di Sanremo,’77. Sulla scia del loro LP “Tornerai, tornerò” del 1975, un disco godibilissimo, leggero al punto giusto, finalmente gli Homo Sapiens, tra le cui fila ha militato anche il compianto Rodolfo Maltese (che mi chiese di collaborare con lui alla fine degl’anni 90, per un suo progetto, a cui dovetti rinunciare) del Banco del Mutuo Soccorso. Ancora – e dannatamente ancora – l’innamoramento per una sedicenne, quando le storie di questo tipo non erano considerate la porta d’ingresso dell’efebofilia e del conseguente stigma sociale.

Per restare in tema…

RAGAZZINA – LUCA D’AMMONIO
Con una melodia che si insinua nei ventricoli cardiaci come gli strumenti di un Barnard qualsiasi, questo inno (alla melenseria, ad onor del vero) nazional-radiofonico ha un suo perché: fotografa una cultura popolare di estrazione medio-bassa, ma suscita, per chi ne è dotato, molta empatia. Il solo fatto di aver accompagnato “certi momenti” della propria vita, la elegge tra le “X” song di tutti i tempi, esattamente come i film con Alvaro Vitali: impossibile non ricordarli.

Arrivando all’epicentro dei tormentoni, ecco la regina delle regine…

TI AMO – UMBERTO TOZZI
Cosa dire di “Ti amo”? Il tripudio del sentimentalismo, la canzone ferormonica per eccellenza, la sigla di testa (e di coda) per ogni amore “eterno”, che puntualmente finisce il Lunedì mattina. Non ho altre parole. Tozzi è un genio.

MIELE – IL GIARDINO DEI SEMPLICI
Dopo gli inossidabili Pooh, Il Giardino dei semplici è uno tra i gruppi più longevi del pop italiano. Attività quarantennale e 4 milioni di dischi venduti. Cifre da far impallidire chiunque. Canzone diretta, semplice, celebra un amore stagionale, nostalgico in quanto la bellissima “Miele” interrompe la relazione. Colpa degli esami? Certamente un esame il gruppo lo ha superato, classificandosi quarto al Festival di Sanremo del 77.

VOGLIA DI MORIRE – I PANDA
Altra canzone sul canovaccio del patimento amoroso post-puberale, con un testo tutt’altro che banale. I PANDA sono approdati anche nello studio inglese di Vangelis (prodotti dal fratello Nicko), scusate se è poco!

DAMMI SOLO UN MINUTO – I POOH
E qui si tocca l’eccellenza. I Pooh sono i Pooh, “eccheccazzo”! Questa canzone ha fatto da sottofondo per uno dei miei primi amori, consumato sulle poltrone di una discoteca di periferia, con una ragazza minuta, tutta riccioli, dal sorriso bellissimo, tenero ed innocente. Anche da lassù, se un altrove esiste, so che ti piacerebbe riascoltarla in mia compagnia, dolce Mara che te ne sei andata via, troppo presto e troppo in fretta.

LA DISCO DANCE

Annata ricca di successi importati dall’estero, in cui si fa onore il nostrano…

FROM HERE TO ETERNITY – GIORGIO MORODER
Electronic dance, in parte rubata alla scuola tedesca, con sequenze standard e battito ritmico tribarolo, basico, primordiale: “tun-cià tun-cià”. La fiera del kitsch, come la cultura musicale discotecara dell’epoca. Tuttavia, ai giorni nostri, Moroder ha epigoni tutt’altro che banali, Daft Punk in primis, che lo adorano.

I FEEL LOVE – DONNA SUMMER
Sull’onda di Moroder (o viceversa), veleggia leggiadra l’ambigua voce di Donna Summer (c’è chi giura e spergiura che fosse stonata) e riposa i deliziosi piedini sui tappeti sequenziali dei sintetizzatori, creando il contrasto delle note lunghe della melodia, abbarbicate sull’ossessiva compulsività ritmica dell’elettronica dance.

In ambiti meno elettronici e più “disco-soul-funk”, guardando nel panorama internazionale, è inevitabile citare…

DON’T LET ME BE MISUNDERSTOOD – SANTA ESMERALDA & LEROY GOMEZ
Questo brano mi ricorda le estati di Alassio, cameriere provocanti e lo studio del pianoforte nel salone parrocchiale locale. Preparavo il quinto anno di Conservatorio, tra sonate di Clementi e le maledette, bachiane “Suites inglesi“. Una canzone bella per la sua orecchiabilità, con un testo filo-cristiano autoflagellante.

ZODIACS – ROBERTA KELLY
Corista di Thelma Houston e di Donna Summer,produce questo singolo di notevole successo, ventiquattresimo nella US HOT DANCE/CLUB PLAY CHART del 1977 e quarantaquattresimo nella UK Singles Chart, del 1978. Evidente segno che, all’epoca, le canzoni ben confezionate duravano anni e non annichilivano con il tempo dell’entanglement quantistico delle particelle.

DADDY COOL – BONEY M
Pubblicato nel 1976, ha scalato le classifiche fino ad arrivare quasi alla vetta estrema, nel 1977. Conquisterà ben 9 dischi d’oro in Europa. I Boney M sono il prodotto di Frank Farian, produttore tedesco, mentre i componenti sono in gran parte giamaicani. Il brano è caratteristico del periodo, con ottimi incastri melodici ed una ritmica invitante. Il testo si commenta da se, quasi uno slogan, tuttavia il pacchetto completo è riuscirò a far sculettare mezza Europa.

ALI SHUFFLE – ALVIN CASH
Potrebbe essere anagraficamente mio padre, il cantante pop e attore americano Alvin Cash, scomparso nel 1999, che rende omaggio alla tecnica del movimento delle gambe -quasi a guisa di danza – del pugile Muhammad Ali, il più noto pugile di tutti i tempi. Il brano è di una tribalità imbarazzante, condito di riff chitarristici squisitamente soul, con un coro che si alterna al mantra fondante. Se non fosse passato in radio sino al disgusto, non mi sarei mai accorto di questo brano. Tuttavia è rimasto impresso nella mia memoria, grazie anche ad una cover bensuonante, sempre dell’epoca.

L’ETEROGENEO FILONE STRUMENTALE, MELODICO E DANCE

Della serie: “Quando la musica strumentale era in Hit Parade”.

Mi va di aprire una breve digressione…

“Da giovane sostenevo che “La Musica può essere più poetica della poesia e La Poesia più musicale della musica”, dividendo nettamente i due ambiti , vedendo una sorta di contaminazione negativa, quasi caricatoriale, da evitare. Sentire le parole piegarsi alle regole ferree della musica temperata, perdendo il loro valore semantico, storpiate e con gli accenti spostati era per me una sofferenza insopportabile. Nella stessa misura, la musica al servizio della parola mi sembrava, arzigogolandosi su banalissime melodie, ridotta al ruolo del meretricio più bieco. Negavo il valore della “forma canzone”, in pratica. Oggi, ovviamente, sono lontano da posizioni così estreme, tuttavia ancora mi capita di percepire che, a volte, le parole sono troppo invadenti o la musica troppo remissiva, ridotta al coloramento rafforzativo del testo-tiranno.”

Chiusa la digressione.

FLOR D’LUNA (MOONFLOWER) – CARLOS SANTANA
Non ho mai particolarmente amato Carlos Santana, riconoscendoli però una buona comunicazione chitarristica, anche se è tecnicamente sopravvalutato, a maggior ragione oggi, con mandrie di chitarristi iperdotati che si mangiano i takos santaniani a colazione e a merenda, riducendolo quasi a fenomeno da baraccone. “Moonflower” è un brano che si fa ascoltare anche da chi è reduce da “Samba pa ti“, tra i capolavori assoluti del “seicordista” messicano, insieme a “Oye como va“. Tema azzeccato.

MAGIC FLY – SPACE
Sull’onda dei francesi “Rockets“, gli “Space“, francesi anch’essi, sconosciuti ai più, ottennero un successo internazionale con “Magic Fly“, per tornare poi nel parziale anonimato. Brano fischiettabile, proietta l’immaginazione in uno scenario lunare, dove il volo magico si ferma a distanze accettabili (anche musicalmente), rispettoso dell’assoluta insondabilità dell’ìnfinito.

LOVE IN C MINOR – CERRONE
L’apoteosi della disco-music d’annata, ben orchestrato, con una carrellata di licks ereditati dal blues e dalla musica sinfonico-barocca, costretti negli angusti confini dei 4/4 “tarrelli”. Un prodotto di lusso, per l’epoca. Marc Cerrone, francese di origini italiane, testimonia come il paese dello champagne sfornava Hits internazionali di incredibile successo planetario. Il brano data 1976, tuttavia giunge al pieno successo nella hit parade italiana nel 1977.

TRANS EUROPE EXPRESS – KRAFTWERK
I re della musica elettronica commerciale (e non) degli anni 70, incantavano orde di adolescenti con i loro celebrali mondi tecnologici, dove il mito del Superuomo s’infila, subliminale, tra le note dei sintetizzatori e le voci metaumane del vocoder. Il preludio chiaroveggente della tecnocrazia dei giorni nostri. Avrò modo di parlare più estesamente di questi capiscuola delle musica elettronica teutonica (insieme ai Popol Vuh e ai Tangerine Dream, anche se in contesti diversi).

IL PANORAMA INTERNAZIONALE

ROCKOLLECTION – LAURENT VOULZY
Nato nel ’48 del secolo scorso, collaboratore per un certo periodo di Alain Souchon, autore di ben altro spessore, ha avuto successo con un’unica canzone, “Rockcollection“, per l’appunto. Tutto il resto, personalmente, mi lascia indifferente. Canzone post adolescenziale per antonomasia, che rievoca il ricordo classico della ragazzina con la coda di cavallo, bellissima, irraggiungibile, quella che fa tacere i bassi istinti testosteronici per svelare il mondo della contemplazione pura, per poi poi ritrovarla trent’anni dopo con i segni del tempo che cancellano ogni idea archetipale.
Interessante e ruffiano l’uso della citazione musicale che , nel caso specifico, valorizza la canzone con una sorta di riuscitissimo mash-up antelitteram che ben si adatta alla melodia originale. Canto tribale e spensierato, un valido esempio che coniuga la semplicità comunicativa con un’operazione di marketing molto intelligente. La annovero nei miei ricordi per pura associazione con splendidi momenti della mia vita.

YEAR OF THE CAT – AL STEWART
Canzone che inizia con accordi pianistici, replicati poi dalla chitarra, di un qualsiasi tema introduttivo neanche l’ombra, poi, con un ordine e una pulizia sonora che solo Alan Parsons (produttore) sa gentilmente imporre, il componimento si anima. La forma-canzone come metafora dell’aggregazione cellulare che da vita ad un organismo complesso, e soprattutto vivo.

IF YOU LEAVE ME NOW – CHICAGO
Se il testo di questa canzone lascia a desiderare in quanto a profondità di pensiero, colpisce al contrario la costruzione melodico-armonica di una certa, ordinata complessità. Il tema introduttivo dei fiati fa presagire chissà quale epica avventura, ma poi arriva la voce sottile ed acuta di Peter Cetera, bassista del gruppo e autore del brano. Melodia penetrante, che da spazio a modulazioni ardite. Come non ricordare poi quel tema di chitarra acustica con dei terzinati dotti? Io la ascoltavo con la mia decima (?) fidanzatina, visto che passavo da una ragazza all’altra come una scimmia tra i rami: del resto erano appigli per il mio innamoramento dell’Amore.

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Il contenuto di questo articolo è stato redatto da qualche tempo, nel frattempo le circostanze possono essere cambiate.

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